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I MALI NECESSARI #1

Squilibrato

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Squilibrato è il primo libro della serie I Mali Necessari.

Please note: This listing is for the paperback edition.

MAIN TROPES

  • Insta-Love
  • Trauma
  • Touch Him and Die
  • Possessive Hero
  • Psychopath
  • Meet-Scary

SYNOPSIS

Adam Mulvaney vive una doppia vita. Di giorno è il figlio più giovane e viziato di un eccentrico miliardario. Di notte, invece, è un killer impenitente, uno dei sette psicopatici allevati in quella casa per raddrizzare i torti di un sistema giudiziario che continua a fallire.

Noah Holt ha trascorso anni a sognare di vendicarsi per la morte di suo padre, ma quando si trova di fronte al suo assassino scopre una verità scoraggiante a cui sottrarsi è impossibile. Perché suo padre era un mostro.

Incapace di ignorare i propri ricordi, Noah intraprende un percorso che lo porterà a scoprire la verità relativa alla propria infanzia, e il tutto con l’aiuto di un improbabile alleato: la stessa persona che ha ammazzato suo padre. Dopo il loro primo alterco, infatti, Adam è ossessionato da Noah, e vuole aiutarlo a scoprire le risposte che cerca, per quanto oscure possano essere.

I due condividono un’attrazione reciproca, ma nel profondo Noah sa che Adam non è come gli altri ragazzi. Non può amare. Non è nato così. Eppure vede che si rifiuta di lasciarlo, e lui stesso non è sicuro di volere che lo faccia.

Adam riuscirà a dimostrare a Noah che passione, potere e protezione sono altrettanto valide quanto l'amore?

Warning: Questo libro contiene violenza esplicita, umorismo molto dark e menziona un passato di violenza sessuale su minori.

LOOK INSIDE: CHAPTER ONE

Adam nascose la testa ancora più in profondità nel cappuccio della felpa rossa, stringendo la mano intorno al manico del coltello che aveva seppellito all’interno della tasca. Era facile confondersi nel mezzo della notte, vorticando da un’ombra all’altra nel tentativo di evitare le anemiche luci gialle della strada scura e squallida, ma ciò non significava che quello fosse un quartiere sicuro. Affatto.

Quella era la parte dimenticata della città. Ogni edificio aveva le finestre sprangate, le strade erano dissestate e piene di buche pronte a diventare pozze di petrolio ogni volta che pioveva. La prevalenza di negozi di armi, nonché la massiccia presenza di garanti per la cauzione e di avvocati, era in netto contrasto con il luogo in cui viveva, dall’altra parte dei binari. Ma non stava cercando di “andare in giro nei bassifondi” con i poveri. Quella era la sua gente. Aveva passato i primi sei anni della sua vita in una roulotte fatiscente proprio dietro il minimarket.

Le auto della polizia si aggiravano furtivamente per i vicoli, e a volte gli agenti accendevano le torce fuori dai finestrini per molestare un gruppo di persone fino a quando quelle non si disperdevano. Eppure non notavano Adam. Nessuno lo vedeva mai. Davvero. Era quello il motivo per cui lui era ancora libero di vagare, di cacciare, di uccidere. Ma quella sera l’unica cosa da fare era andare a letto presto.

Era strano come ci si potesse fondere comodamente con quel luogo se si fingeva di appartenervi. Lo era anche per qualcuno come lui abituato a passare una buona parte del proprio tempo sotto gli occhi del pubblico. Qualcuno di famoso, in certi circoli. Mimetizzarsi lì era più facile, comunque, vista l’assurdità anche solo di immaginare ciò che faceva in realtà. Il figlio minore del miliardario Thomas Mulvaney che andava in giro da solo nella parte peggiore della città a tarda sera? Sembrava abbastanza delirante, come ipotesi.

Che poi Adam non corrispondeva a quella descrizione. In verità, lui non era nessuno. Era anzi una bugia creata con cura, una persona cresciuta appositamente per correggere i torti degli altri. E la sua era una menzogna portata avanti così bene che, a volte, anche lui ci credeva. Ma non era reale. Niente lo era. Forse era proprio per quel motivo che le passeggiate erano diventate davvero la cosa migliore delle sue notti. A nessuno fregava un cazzo di ciò che lo riguardava, in quella parte della città. Non conoscevano il nome Mulvaney o l’individuo che il mondo pensava fosse. A loro non importava.

Tagliò attraverso un vicolo buio fino ad arrivare all’entrata di un edificio ancora in costruzione, diroccato, presso cui teneva le sue… provviste. Non aveva bisogno della luce per orientarsi. Usava quel particolare rifugio da quando aveva quindici anni. Doveva solo riporre il coltello nel suo kit, poi avrebbe potuto alzare i tacchi. Avrebbe anche potuto tornare a casa entro mezzanotte.

Non sentì lo strascicare di scarpe da ginnastica sul cemento finché non fu troppo tardi. Il suono del calcio di una pistola che veniva armata seguì rapidamente il rumore precedente, riecheggiando nello spazio vuoto. Tuttavia non rallentò il passo finché una voce traballante non gridò: «Fermati!»

Era tentato di ignorare la richiesta. Il proprietario della voce sembrava giovane, incerto. Davvero terrorizzato. Non era raro che i ragazzini senzatetto cercassero protezione lì quando fuori faceva freddo. Magari era un tossico. Uno strafatto in cerca di soldi o droga. Ma la probabilità di farsi sparare non era zero, e anche i tossici nervosi a volte erano fortunati e colpivano un’arteria. Suo padre l’avrebbe resuscitato solo per ucciderlo di nuovo, se si fosse fatto beccare in quella parte della città.

Rallentò fino a fermarsi con un sospiro, poi si voltò a guardare il suo assalitore. Era senza dubbio un dilettante. Si era fermato proprio nel punto illuminato dall’unica fonte di luce presente in quel posto, rendendo chiari i suoi lineamenti in modo così dettagliato che Adam avrebbe potuto disegnarne uno schizzo a memoria.

Era la sua antitesi: pallido e lentigginoso dove lui era abbronzato, con i capelli disordinati e di un castano chiaro, al contrario suo che li aveva neri; aveva un fisico piccolo, delicato e tutto ossa, in diretta opposizione al suo, che era da nuotatore. Non doveva essere molto più giovane di lui. Sembrava avere poco più di vent’anni.

Chiunque fosse, comunque, non aveva mai impugnato una pistola. Quello gli era chiaro dalla posizione assunta e dal modo in cui la sua mano tremava, ma il dito che aleggiava proprio sul grilletto portava Adam a prestargli la stessa attenzione che avrebbe rivolto a qualsiasi altro predatore.

«Okay, mi hai preso. Ora che si fa?» gli chiese. 

«Abbassa il cappuccio,» intimò il ragazzo, la pistola che gli tremolava nel palmo mentre parlava. 

Lui si accigliò a quella strana richiesta. «Perché?»

L’altro sembrò esitare, come se non si fosse aspettato che Adam discutesse con lui. Aveva pensato che la pistola gli avrebbe dato un vantaggio. Probabilmente sarebbe stato così con molti altri. Ma non con lui. 

Scosse l’arma. «Non fare domande. Fallo e basta.»

Adam fece un solo passo avanti, guardandolo con interesse mentre il giovane ne faceva uno indietro. «No.»

Vide i suoi occhi spalancarsi. Sembrava vicino alle lacrime. «No? Ti sparerò in faccia.»

Bugia. «Allora fallo.»

Il dito del ragazzo si contrasse sul grilletto. Oh, desiderava farlo. Voleva Adam morto. Interessante. Forse era tutto un malinteso. D’altronde in quella zona non mancavano i criminali. Di certo era pieno di gente a cui portare rancore. 

«So chi sei,» riprese il ragazzo, infondendo una certa sicurezza nella voce. 

Lui non poté fare a meno di ridere. «Oh, sì? Chi pensi io sia?»

Gli occhi del giovane si restrinsero mentre un sorriso tormentato andava delineandosi sulle sue labbra. Stava sudando nonostante il freddo, ma Adam non pensava più che fosse un tossicodipendente. Era terrorizzato, sì, ma i suoi occhi erano limpidi, la sua pelle perfetta. Quel ragazzo non era un drogato. 

«Adam. Mulvaney.» Lo aveva pronunciato scandendo ogni sillaba, come se dirlo ad alta voce avesse potuto evocare una sorta di ira soprannaturale.

Il suo nome su quella bocca gli tolse il ghigno dal viso. Se non aveva alcuna necessità di nascondere la propria identità, ormai, poteva anche mostrare il viso. Tanto valeva dare al ragazzo un’apparenza di controllo. Si tolse il cappuccio. «E tu chi sei?»

Non ci fu alcuna esitazione. «Noah.»

Mormorò il nome del ragazzo. Non si aspettava che gli rispondesse. Le persone che volevano lasciare in vita le loro vittime non fornivano i propri nomi. Ora sì che le cose si sarebbero messe male per il povero Noah, il quale sembrava che l’esistenza gli avesse già fatto più di uno sgambetto, dato che si era messo chiaramente contro di lui. 

«Okay. Cosa vuoi, Noah? Contanti? Droga? Ho cento dollari con me, ma se prendi la mia carta di debito puoi accedere a molto di più. Ti darò anche il PIN.»

Il viso del ragazzo si contorse in un’espressione furiosa che apparve quasi comica su quella faccina innocente tutta piena di lentiggini. Quasi. «È così facile per te, eh? Basta solo buttare via i soldi, così. Come fai?»

«A fare cosa? Sto solo cercando di assicurarmi che entrambi possiamo tornare a casa stasera. Ho i soldi. Sembra che tu abbia bisogno di aiuto. Nessuno ti incolpa per aver fatto quello che devi fare per sopravvivere.»

Quelle parole ebbero l’unica conseguenza di fare arrabbiare ancora di più l’altro, se possibile. «La gente davvero non vede chi sei, eh? Menti con estrema facilità.»

Non aveva torto. E fu quello probabilmente a turbare Adam più di ogni altra cosa. Chiunque fosse Noah, aveva fatto i compiti. E stava firmando la propria fottuta condanna a morte. Non gli piacque il dolore lancinante che provò pensando che sarebbe finita male.

Tuttavia, era meglio agire come se non avesse idea di cosa stessero parlando. «Non sto mentendo sul fatto di avere la grana. Posso mostrarti il mio conto in banca.»

«Non voglio i tuoi cazzo di soldi!» gridò l’altro, e sudore e saliva volarono mentre dai suoi occhi sgorgavano lacrime di rabbia. 

Adam mosse altri due lenti passi nella sua direzione. «Allora cosa vuoi, Noah?»

Quello sbuffò, poi tirò su col naso prima di asciugarselo con il dorso della mano. «Vederti sanguinare sul marciapiede.»

Adam sollevò le sopracciglia fino all’attaccatura dei capelli, sentendo il veleno nella voce del ragazzo. «Non ti conosco nemmeno, Noah. Cosa posso aver fatto per portarti a desiderare di uccidermi?» 

Noah spalancò gli occhi, contraendo la bocca. «Davvero non ti ricordi di me, eh?»

No. «Dovrei?»

«Hai ucciso così tante persone che non riesci a ricordare le tue vittime?» 

Sì. Direi proprio di sì. Non aveva intenzione di condividere quel pensiero con lui, però. Inoltre, se il ragazzo fosse stato tra le sue vittime designate, non avrebbe avuto, in quel momento, la possibilità di immettere ancora aria nei polmoni. «Chi pensi che abbia ucciso?»

«Mio padre, Wayne Holt.»

Adam chiuse gli occhi, lasciando che il suo cervello passasse in rassegna i numerosi omicidi del passato commessi, e colse ogni dettaglio mentre cercava quel nome tra gli altri. Wayne Holt, cinquantuno anni, predatore seriale responsabile dell’aggressione e dell’uccisione di almeno quindici bambini sotto i dieci anni. Era in qualche modo riuscito a evitare di farsi beccare per tre decenni. La polizia non aveva mai trovato prove sufficienti per accusarlo. Per fortuna la gente con cui lavorava lui aveva risorse migliori. E una forma molto più rapida di giustizia.

Rimase scioccato quando si rese conto che sì, effettivamente conosceva il ragazzo, anche se erano passati anni. Wayne Holt era stato uno dei suoi primi omicidi. Il terzo, forse? Si era imbattuto in lui circa un paio di settimane dopo il suo sedicesimo compleanno. Il bambino aveva forse dieci anni, all’epoca. Adam fece rapidamente i calcoli. Sì, combaciava. Quello poteva essere sicuramente il ragazzino che era uscito dall’ombra quella notte, che aveva chiamato il padre con una voce timida ponendo così fine al suo divertimento quasi prima che iniziasse.

Thomas si era infuriato quando aveva saputo che non aveva cercato testimoni in casa, ma lui si era sentito così eccitato, così pronto a ricordare a Wayne Holt ogni singola vittima e il dolore che aveva lasciato nella propria scia. Se Noah era davvero quel ragazzo, c’erano buone probabilità che anche lui fosse stato una vittima. 

«Tuo padre era un mostro, Noah. Dentro di te, penso tu lo sappia.»

Ancora una volta, la pistola sventolò selvaggiamente. «Vaffanculo. Non sai un cazzo di mio padre.»

«Invece sì. Posso provartelo, se è quello di cui hai bisogno. Ma non credo che tu voglia assistere a quello che ho visto io. Alcune cose non possono più essere cancellate.»

«Chiudi il becco! Dici solo stronzate. Sei un… serial killer. Hai quella cazzo di attitudine da fuckboy1 annoiato, ma in realtà sei tu il fottuto mostro.»

Adam sospirò. Come cazzo avrebbe dovuto gestire tutta quella situazione? Gestire Noah? Non poteva ucciderlo. Beh, poteva. Ma non voleva. Lo sapeva nel profondo. Non aveva potuto ucciderlo la prima volta che l’aveva visto e di certo non poteva farlo in quel momento, che era in lutto per il padre. Affrontarlo era chiaramente qualcosa a cui quel ragazzo stava pensando da molto, molto tempo. Ma nemmeno Adam voleva morire quella sera. 

«Hai tre opzioni, Noah. Puoi semplicemente andartene, e io farò finta che non sia mai successo. Posso fare una telefonata e mostrarti chi era veramente tuo padre e rovinare ogni ricordo felice che hai di lui.» Adam eliminò la distanza tra loro, afferrando la canna della pistola e premendosela sulla fronte. «Oppure puoi premere il grilletto e uccidermi. Nessuna di queste cose cambierà la verità. Tuo padre era un pedofilo e un assassino di bambini.»

Da così vicino poteva vedere i suoi occhi castani cerchiati di rosso e bagnati di lacrime, le lentiggini che punteggiavano la sua pelle, la sporcizia che gli imbrattava le guance e il mento. Sotto la rabbia e la fame aveva un aspetto unico, niente a che vedere con la sfilata di debuttanti viziati che era costretto a sopportare ogni giorno per mantenere la propria copertura. 

«Cosa succederà, Noah?» gli chiese in tono basso. «Spero davvero opterai per la prima scelta.»

Gli occhi del ragazzo sfrecciarono freneticamente per tutto il magazzino vuoto, vibrando così tanto da rendere possibile, per Adam, sentirlo attraverso la canna premuta contro la propria pelle. 

«Fa’ la tua chiamata,» si sentì rispondere infine, il tono triste. «In vivavoce,» aggiunse. «Così posso sentirvi.»

Adam sospirò. «Noah…»

«Fallo,» scattò quello, interrompendolo. 

Poi abbassò la pistola e lui estrasse le mani dalla tasca della felpa; lasciò il coltello dov’era in modo che gli fosse più facile raggiungere la tasca posteriore. Tirò fuori il telefono e fece partire la chiamata al primo contatto nella lista delle telefonate frequenti. 

«Come va, girasole?»

La voce femminile dall’altra parte della linea era sorprendentemente allegra per le undici di sera. 

«Siamo su un canale aperto,» la avvertì.

Calliope non era il tipo di persona che si metteva in vivavoce. Il suono delle unghie lunghe che battevano furiosamente sui tasti si fermò di colpo. «O-kay. Che succede? Sei nei guai? Se sei di nuovo nei guai, Adam…»

«Canale. Aperto,» le ricordò, interrompendo la sua invettiva. «Ho bisogno che tu mi faccia un favore. Puoi accedere ad alcune informazioni?»

«L’uomo di latta ha un cazzo di metallo?»

Adam aggrottò la fronte. «Non so cosa significhi.»

«A volte odio questo lavoro,» mormorò lei. «Cosa ti serve?»

«Ho bisogno che mi mandi il fascicolo delle prove su Wayne Holt.»

Ci fu una lunga pausa dall’altra parte della linea. «Perché? Quel caso è vecchio di un decennio.»

«Fallo e basta. Tutto.»

«Anche il…»

«Sì, anche quello,» la interruppe bruscamente prima di prendere un respiro profondo e lasciarlo uscire. «Scusa, Cali. È stata una lunga notte. Puoi inviarmelo, per favore?»

«Sì. Certo, viso d’angelo. Dammi cinque minuti.»

Detto ciò, il suo contatto si scollegò lasciando lui e il ragazzo molto più vicini, e senza una canna di pistola tra loro. «Dovresti andare,» disse Adam in una specie di supplica. «Non vuoi vedere quello a cui abbiamo assistito noi. Te lo giuro, avevamo prove sufficienti per condannare tuo padre.»

Noah fece una smorfia, quasi come se le sue parole gli avessero causato dolore fisico. «Allora perché non sei andato dalla polizia?»

«Tuo padre era bravo a coprire le proprie tracce. La polizia deve preoccuparsi dei mandati e della catena di custodia. La mia gente no. Noi dobbiamo solo trovare la verità.»

«Noi? Chi diavolo sei? Non sei molto più grande di me. Eri a malapena grande abbastanza per guidare quando hai ucciso mio padre. Ho fatto le mie ricerche. Quale idiota assumerebbe un ragazzino per uccidere un adulto?»

«Nessuno mi ha assunto. Questo non è un lavoro. Non ho benefici né un piano pensionistico. Per favore, Noah. Vai e basta.»

Il suo telefono squillò. Aprì la casella email e lesse quella che gli aveva inviato Calliope, poi scorse il file criptato che lampeggiava lì in fondo. «Ultima possibilità.»

Noah gli strappò il telefono di mano e premette con un dito il pulsante di riproduzione. Adam si allontanò. Non poteva guardare di nuovo il video, né assistere alla reazione del ragazzo. Per fortuna il filmato non aveva alcun suono. Sentire la reazione di Noah era già abbastanza brutto. Il modo in cui risucchiò un respiro acuto, il grido strangolato che sembrava quello di un animale ferito e, infine, il vomito che schizzava sul calcestruzzo mentre riversava a terra il contenuto del proprio stomaco. 

Adam combatté la voglia di confortarlo. Che cazzo avrebbe potuto dirgli? Non esistevano cartoline con la scritta “mi dispiace che tuo padre fosse un pezzo di merda”. Anche se, data la prevalenza di genitori osceni là fuori, forse c’era davvero un mercato per quelle. Si voltò e riprese gentilmente il telefono. Quello scivolò via con facilità dalle dita del ragazzo. «Lui non vale le tue lacrime o la tua vendetta. Anche se non ti ha mai toccato. Doveva andarsene. Mi dispiace che tu sia rimasto ferito durante il processo.»

Noah lo guardò in cagnesco. «Sì, sono sicuro che il pensiero ti terrà sveglio la notte.»

Adam lo osservò mentre quello si girava e iniziava ad allontanarsi, le spalle piegate e la testa bassa. Gli ricordò un cane che era stato picchiato. 

Il viso di Noah fu un compagno costante sulla strada verso casa, ma anche più tardi, mentre giaceva nel proprio letto. Cosa gli era successo dopo la morte del padre? Mangiava? Aveva un tetto sopra la testa? Era da qualche parte da solo, a due secondi dall’ingoiare un proiettile? 

Adam sapeva meglio di chiunque altro che il trauma infantile ti perseguitava nei momenti più inopportuni, nei modi più incongrui. E una volta che qualcuno girava la chiave su quella parte del cervello in cui risiedevano quel tipo di ricordi, era quasi impossibile tornare a rinchiuderli. 

Quando il sole sorse, lui non aveva chiuso occhio. Si premette le palpebre coi palmi finché le scintille non vi danzarono dietro. Doveva incontrare suo padre e Atticus al club per colazione. Sapeva che avrebbe dovuto raccontare loro di Noah. Dovevano essere a conoscenza che qualcuno là fuori aveva scoperto la sua vera identità. Ma non voleva condividerlo. Con nessuno. Una strana parte di lui voleva tenere Noah tutto per sé.

Ciabattò assonato fino alla doccia, quindi lasciò che l’acqua che pioveva dall’alto gli scrosciasse sulla schiena e sulle spalle mentre pensava a un paio di grandi occhi castani e a delle lentiggini cosparse su un incarnato pallido. Si sentiva stranamente responsabile per il ragazzo. Non capiva perché continuasse a pensare a lui in quei termini, oltretutto. Non potevano avere una differenza d’età che superasse le dita di una mano, ma Adam si sentiva come se fosse nato vecchio, come se avesse vissuto cento vite nei ventisette anni da che era al mondo. Era ovvio quanto la vita di Noah non fosse stata facile, ma la vulnerabilità e la silenziosa disperazione che gli era parso lo caratterizzassero si erano attaccate a qualcosa di sepolto in profondità dentro Adam. Qualcosa di cui non aveva mai neanche sospettato l’esistenza. La sua coscienza. 

Avrebbe portato conforto a Noah sapere che, effettivamente, aveva tenuto Adam sveglio tutta la notte?

1  Il “fuckboy” è quello che fa di tutto per portarsi a letto un partner e poi svanisce. Generalmente tradisce e gioca con i sentimenti. Fa sempre battute scurrili o sessuali di cattivo gusto. L’accezione è molto negativa. (N.d.T.)

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